I love Berlin - Diario di viaggio

Quando ho deciso di visitare Berlino avevo già un'idea di ciò che volessi vedere e quando mi sono trovata sulle sue strade, all'interno dei suoi spazi e a contatto con la sua gente, ho capito che avrei trovato molto di più di quello che stavo cercando. 
Tutto era più grande di quello che immaginavo: le strade, le stazioni ferroviarie, i locali, la cultura, lo spirito delle persone. 
I berlinesi sono un groviglio di varietà pazzesco.




Ho alloggiato per quattro giorni nel quartiere Friedrichshain, a due passi dalla stazione Warschauer. Al di là della strada adiacente alla via di casa, un deposito ferroviario dismesso è stato adibito a centro sociale diffuso, con la stessa naturalezza con cui a Torino aprono i caffè Illy nelle aree di maggiore speculazione edilizia. 
Gruppi di persone disomogenee percorrono il viale pedonale del cavalcavia a tutte le ore del giorno e della notte, rigorosamente con una bottiglia di birra in mano. Individualità disuniformi che costeggiano i viali a sei corsie con lo sguardo di chi sa esattamente dove sta andando (indipendentemente dal viaggio o dal mezzo).

Ho chiesto a Elena, la padrona di casa, come mai tutti avessero sempre una birra in mano e lei mi ha risposto "c'è chi sta iniziando la giornata, chi è ancora in botta dalla sera prima, non so perché ma è così, è normale." 

Gruppi di studentesse, ragazzi in giacca e cravatta, punk, extracomunitari, ciclisti, percorrono a passo spedito l'ingresso alla sede binari sotto il controllo costante delle forze dell'ordine pronte a intervenire al primo segnale, ma chi sta facendo disordine è poco preoccupato delle conseguenze delle sue azioni, le sue ragioni sono più forti della legge, si intuisce da dove sta rivolgendo lo sguardo e si capisce dallo sguardo di chi è intorno e sta pensando che non si sognerebbe mai di agire in quel modo. 
Il modo in cui trasgredisce un berlinese è chiaro e semplice: ci sono luoghi in cui la trasgressione è la regola e luoghi in cui non è ammessa la minima sbavatura. 




Non c'è predisposizione al dialogo nel poliziotto che multa la turista spagnola sulla rotatoria intorno alla Siegessäule perché stava parlando al telefono mentre guidava la bici, come nessuna piega delle labbra tradiva la determinazione dell'addetto alla selezione all'ingresso del Berghain (il club più esclusivo della città) quando con un cenno quasi impercettibile della testa ha rimbalzato me e il mio amico. 
Abbiamo passato l'intero sabato notte fuori dai club consapevoli di perdere tempo ma con la determinazione di chi vuole tornare indietro dicendo a se stesso: "ci ho provato".
Alle tre del mattino eravamo troppo stanchi perfino per un cocktail; con il senno di poi forse ci saremmo vestiti diversamente ma ci avremmo provato comunque. Avevamo chiesto qualche consiglio a Elena che ci aveva indicato più di un'opzione; lei aveva sospirato "provate", da quello che abbiamo capito, entrare nei club di Berlino è difficilissimo e ne abbiamo avuto la conferma quando abbiamo incontrato una nostra amica che era in visita da amici berlinesi negli stessi giorni e ci ha detto che anche loro non sono riusciti a entrare dove avrebbero voluto, nonostante fossero vestiti diversamente e fossero di Berlino. 




La nightlife berlinese è impegnativa quanto la vita diurna: grandi distanze, tante possibilità, poco tempo per noi viaggiatori del week end. 
Nella città capitale della storia del ventesimo secolo ci sono talmente tante opportunità da cogliere che anche scegliere è stato difficile. 
Abbiamo iniziato dalla MuseumsinselPergamon MuseumNeues MuseumAltes MuseumAlte Nationalgalerie.
Un incontro con l'arte in particolare non lo potevo mancare: il faccia a faccia con la donna più bella dell'antichità, la regina Nefertiti. 
E poi la Porta di IshtarL'Abbazia nel querceto, di Caspar David Friedrich; arte pittorica, scultorea, tutto grande e conservato perfettamente. 
Percorrere tutta la storia dell'arte nel giro di un paio di giorni trovandosi di fronte a opere monumentali non dovrebbe essere sorprendente per chi conosce Roma. Il fatto è che a Berlino le opere non sono solo di inestimabile valore, sono anche inserite all'interno di un contesto accuratamente concepito per una fruizione spettacolare. 

Da brava appassionata di arti figurative ho selezionato quella che a mio parere potesse rappresentare un incontro significativo con l'arte contemporanea; così ho scelto il Museum für Gegenwart, la vecchia sede della Hamburger Bahnhof, una delle più antiche stazioni ferroviarie di Berlino, oggi ricostruita poco lontano dalla sede originale in cui ospita alcuni degli artisti più celebri della contemporaneità. 




Abbiamo passato nei musei tutto il tempo in cui le condizioni meteorologiche non erano confortevoli; siamo partiti da una Torino quasi a maniche corte indossando un giubbotto invernale che non si è mai rivelato superfluo. 
Tuttavia, contrariamente alle previsioni, la fortuna ci ha concesso un regalo: alla fine del secondo giorno il cielo si è aperto mentre stavamo raggiungendo il Memoriale dell'Olocausto, così abbiamo potuto trascorrere il momento del crepuscolo abbracciando i pensieri di una storia che da un lato è lontana dalla nostra e allo stesso tempo è molto vicina ai sentimenti di chiunque sia costretto a subire la propria "diversità". 
Come ci raccontava Elena, la diversità a Berlino è normale e c'è un forte rispetto di essa; la città stessa ne parla attraverso i manifesti di cui è tappezzata e le persone vivono la propria individualità con una libertà che in altre città sarebbe sottoposta al disappunto costante dei passanti. Immagino come sarei considerata io stessa all'interno del mio contesto, se decidessi di tingermi i capelli di blu, tatuarmi il collo e aggiungere qualche piercing tra naso e labbra. 




Durante il terzo giorno, il sole è stato un buon presupposto per osservare la città dall'alto. Sulla cupola del Reichstag un'audio-guida illustrava in maniera impeccabile ogni aspetto significativo di una visuale di Berlino a 360 gradi. 
Per il resto del tempo valeva la pena sfruttare quei rari e instabili raggi di sole; la luce rendeva la città talmente bella da farci venire voglia di percorrere grandi distanze a piedi. 
Dal Reichstag abbiamo passeggiato lungo tutto il Großer Tiengarten fino alla Siegessaule quindi abbiamo proseguito fino al quartiere di Charlottenburg.
Con i treni era talmente facile spostarsi che in un attimo eravamo tornati a casa per prepararci per la sera e poi di nuovo nel quartiere di Charlottenburg per la mia prima volta all'Hard Rock Cafe. 

La cameriera dell'HRC era bellissima: un cocktail di lineamenti esotici e sorrisi solari che hanno reso meno imbarazzante la nostra evidente difficoltà con la comprensione del menù. Tra i suoi sorrisi, il cibo e la musica che parlava della nostra adolescenza abbiamo trascorso il tempo che ci separava dall'ultima notte a Berlino. 
Il ritorno a casa in quell'ultima sera è trascorso a rallentatore, quasi come se il viaggio fosse già un po' finito, anche se avevamo ancora di fronte una giornata piena prima di ripartire per l'Italia. La mente sembrava voler sfruttare al massimo ogni singolo momento e il sole ci aveva messo di buon umore ma sapevamo che il giorno seguente avremmo incontrato la pioggia che avevamo schivato fino ad allora. 
 



Il sole di Berlino è come un sogno a occhi aperti, appena ti distrai svanisce. Il cielo si copre di nuvole grigie e i grandi e imponenti palazzi affacciati sugli immensi viali, assumono un aspetto severo. 
Quando non piove, le persone si riversano sulle strade, nei parchi, vanno in bici, pattinano, passeggiano, si sdraiano sui prati e lungo il fiume, bevono birra, ascoltano la musica degli artisti di strada, fumano erba e si godono il momento di calore prima di sfrecciare di nuovo verso un altro stralcio di vita fredda. 
Quando non era troppo freddo, sul cavalcavia della stazione di Warschauer abbiamo incontrato più di una volta musicisti di vario tipo: solisti con la chitarra; un complesso con batteria, basso, chitarra e voce; un solista con la pianola. Intorno alla stazione di Friedrichstraße invece c'erano sempre i soliti tre ragazzi bravissimi, il cantante aveva una voce suadente che accompagnava le nostra passeggiate lungo il quartiere Mitte



Orientarsi a Berlino non era impossibile ma a volte richiedeva più impegno di quello che avevamo immaginato; come quando il primo giorno ci siamo ritrovati alla fermata della linea TXL di Alexanderplatz e dovevamo raggiungere la linea S (sul lato opposto della piazza); per cui abbiamo seguito le indicazioni di un passante e siamo passati proprio sotto alla linea ferroviaria, che non avevamo nemmeno preso in considerazione tanto ci sembrava sproporzionata per il trasporto urbano. Una ragazza ci ha raccolto a qualche centinaio di metri spiegandoci che le linee urbane e le linee extraurbane viaggiano attraverso le stesse stazioni, per questo erano così grandi, ci ha accompagnato fino all'ingresso, anche se dall'aspetto ci saremmo dovuti accorgere di dove fosse. Ci sono sempre degli angoli di tutte le stazioni del mondo che non sono il massimo del glam e a Berlino ci sono davvero tante stazioni. 




Le strade di Berlino sono enormi, percorse da un traffico spedito e da persone di tutti i tipi che camminano velocemente. Molte strade sono bloccate dai cantieri; a Berlino ci sono cantieri ovunque; alzando gli occhi al cielo è possibile ammirare una foresta di gru gialle che sovrasta ogni angolo della città. 
Gli spazi sono grandi, molto funzionali e poco accoglienti, l'impressione è che tutti vadano sempre troppo veloce per fermarsi a non fare niente, eppure non è raro incontrare passanti che, vedendo queste facce turistiche con grossi punti interrogativi disegnati sugli occhi, si fermano per aiutarli a trovare la direzione giusta. 
Siamo passati per i grandi viali del centro intorno a Friedrichstraße, abbiamo percorso l'acciottolato del quartiere di Friedrichshain, siamo passati per la Unter den Linden per raggiungere la Porta di Brandeburgo, e abbiamo costeggiato tutta Straße des 17. Juni passando dal parco di Tiergarten; abbiamo percorso la Mühlenstraße lungo la East Side Gallery fino ad arrivare al ponte di Oberbaumbrücke, abbiamo percorso strade isolate per raggiungere i club nascosti nelle ex aree industriali e ci siamo persi sulla metro un paio di volte, sbagliando linea, e osservando dal finestrino un'affascinante distesa di edifici, strade, gru gialle e persone che sembrava non avere fine. 




L'ultimo giorno il cielo si è coperto di nuovo, ha minacciato pioggia senza manifestare chiaramente l'intento. Abbiamo utilizzato il mattino per visitare la Topographie des Terrors, un museo nato sulle rovine dell'ex quartier generale della Gestapo, a un passo da una porzione di muro a cui è stata addossata un'esposizione fotografica all'aperto. 
Ci siamo presi il tempo per una parte di storia che conosciamo fin troppo bene e che non sarà mai opportuno dimenticare.
Abbiamo proseguito verso il Checkpoint Charlie, uno dei più celebri posti di blocco tra il settore est e il settore ovest della Berlino divisa, oggi mèta di turisti che, istruiti da finte guardie in divisa, assumono pose cool per ricordare le atrocità consumate intorno a quel luogo e nel nome di quei simboli. 
Mi sono chiesta quanto valore abbia la memoria delle atrocità umane quando, seppure tramandata con documenti originali, perfettamente conservati e rintracciabili, arrivi a diventare attrazione. Il potere dei media trasforma i princìpi fondamentali dell'esistenza in show a cui tutti vogliono assistere, partecipare oppure fare entrambe le cose.

Dopo pranzo, trascorrendo nel centro commerciale Arkaden a Potsdamer Platz il nostro pomeriggio di shopping pre-partenza, siamo entrati in un negozio di souvenir dove, parlando con la proprietaria, ho scoperto il significato della Trabant. Ce ne era una originale in vetrina, verniciata con graffiti coloratissimi, in cui potevi entrare e scattare foto. 
La proprietaria del negozio mi ha spiegato che la Trabant era il modello di auto più diffuso a Berlino Est e dopo il 1989 la città si è riempita di murales che la raffigurano conficcata nei muri. 


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